giovedì 6 luglio 2017

LA VARIANTE VENETA DEL PROJECT FINANCING

DAL SITO APPALTILEAKS PUBBLICHIAMO UN APPROFONDIMENTO SUL PROGETTO DI FINANZA ALLA VENEZIANA DOVE ZAIA SOCCORRE IL CONCESSIONARIO.

AppaltiLeaks ha già avuto modo di interessarsi della Pedemontana Veneta (vedi articolo precedente) ed oggi ritorna sull’argomento.
Lo scorso 29 maggio 2017, presso lo Studio del notaio veneziano Alberto Gasparotti, si sono dati, infatti, appuntamento l’ing. Elisabetta Pellegrini (in nome e per conto della Regione del Veneto) ed il geom. Matterino Dogliani (Amministratore Delegato e legale rappresentante Superstrada Pedemontana Veneta Spa) per stipulare il “Terzo Atto Convenzionale Superstrada Pedemontana Veneta“ (scarica qui il testo integrale).
Centoventitrè pagine nelle quali vengono, per l’ennesima volta, modificati i rapporti contrattuali tra concedente e concessionario.
Le numerose premesse che ripercorrono le tappe della tragica vicenda di questa maxi opera pubblica, ancora lontanissima dall’essere realizzata, sono purtroppo parziali ed omettono, apparentemente, di dar conto di una serie di eventi altrettanto importanti.
Non sembra esservi traccia, ad esempio, del fatto che (come rilevato dalla Corte dei Conti) “il 7 marzo 2011, fu firmato il contratto fra il concessionario ed il contraente generale”, un avvenimento passato, di sfuggita, sotto gli occhi di tutti gli osservatori senza troppa importanza.
Eppure, nel proprio esposto dello scorso 24 gennaio (vedi testo integrale), la SICS Srl, originaria progettista della Pedemontana, denunciò quanto segue:
la Superstrada Pedemontana Veneta (S.P.V.) Spa affidò la materiale realizzazione dei lavori (non si comprende in che modo, per quale necessità o convenienza, secondo quale norma e per il tramite di quale procedura ad evidenza pubblica) al solo Consorzio Stabile S.I.S. Scpa; giova ricordarlo mandatario dell’originario raggruppamento temporaneo aggiudicatario. Nel rinviare ogni doveroso approfondimento circa la legittimità e la liceità di tale affidamento (apparentemente, non consentito dalla normativa vigente ed ingiustificato dalle necessità tecnico-esecutive della finanza di progetto), sembra possibile affermare che l’affidamento a cascata della realizzazione dell’opera ha, per un verso, adulterato la natura dell’originario affidatario dell’appalto bandito dalla Regione Veneto e, per altro verso, “messo in sicurezza” il diritto ad eseguire le lavorazioni che è stato inspiegabilmente trasferito nella sfera giuridica della sola SIS Scpa piuttosto che permanere in quella dell’ATI aggiudicataria (o al più dalla società di progetto SPV Spa). Tale traslazione (operata dopo appena una settimana dal subentro della società di progetto S.P.V. Spa all’atti aggiudicataria) non sembra irrilevante. Non è escluso, infatti, che – soprattutto nell’ipotesi di inadempimento della Società di progetto o di qualsivoglia sua incapacità a rispettare gli obblighi di finanziamento assunti in base alla convenzione e calibrati sulla base di un piano finanziario dallo stesso elaborato ed asseverato – pur adottando (come preannunciano sempre più frequentemente gli organi di stampa) un provvedimento straordinario che comporti la sostituzione di S.P.V. Spa (o il subingresso di altri soggetti nella sua compagine azionaria), il contraente generale SIS Spa (ossia il principale soggetto responsabile di tali inadempimenti o incapacità finanziarie) mantenga il diritto alla sola esecuzione dei relativi lavori.
E quindi agli enormi utili della commessa miliardaria ritraibili dai prezzi, dalle modalità esecutive e dalla clausole contrattuali di fatto concordate con se stessa. Acclarata, quindi l’impossibilità di interpretare (o peggio utilizzare) l’istituto della finanza di progetto e/o l’affidamento a contraente generale come pure modalità di deresponsabilizzazione della stazione appaltante, della struttura commissariale, della società di progetto (quale amministrazione aggiudicatrice) e del contraente generale, e per diluire doveri ed obblighi degli incaricati di funzioni pubbliche (responsabile del procedimento, responsabile dell’alta vigilanza, direttore dei lavori) e/o come uno strumento per poter attuare negozi in frode a alla legge, si espone quanto segue.
Insomma, accuse pesantissime che non solo meriterebbero adeguate indagini ed approfondimenti ma che, soprattutto, avrebbero dovuto imporre doverosi chiarimenti e contestazioni prima della nuova regolamentazione dei rapporti tra Regione Veneto e concessionario.
Ma niente di tutto ciò sembra essere avvenuto, tanto meno nello studio notarile veneziano.
Ma veniamo al resto.
A leggere l’atto sembra tutto normale, quasi dovuto.
Si legge che le “previsioni dei tassi di crescita del traffico nel medio e nel lungo periodo si sono andate modificando rispetto a quelle iniziali e pertanto si è resa necessaria una revisione delle relative stime” e che “le parti intendono precisare e definire in modo certo, anche a seguito delle interlocuzioni con la Corte dei Conti e l’ANAC e delle conseguenti questioni rappresentate da quegli Organi, le condizioni ed i meccanismi di riequilibrio della concessione al verificarsi di eventuali modificazioni ai suoi presupposti”.
Ed ancora che “per pervenire ad un assetto contrattuale che consenta una migliore finanziabilità dell’opera e assicuri l’equilibrio del PEF – senza che ciò comporti una modifica sostanziale relativamente alle condizioni di concorrenza in presenza delle quali è stata stipulata la convenzione originaria e senza modificare l’allocazione dei rischi tra Concedente e Concessionario, evitando qualsiasi variazione dell’equilibrio economico in favore di quest’ultimo – la Regione intende incrementare di euro 300.000.000,00 (trecentomilioni/00) il contributo pubblico in conto costruzione, ed inoltre agire sulla voce costituita dal canone di disponibilità, riservando a sé gli introiti derivanti dalla riscossione dei pedaggi, che costituiranno propria entrata patrimoniale”.
Cosa?
Senza che ciò comporti una modifica sostanziale relativamente alle condizioni di concorrenza”? “Senza modificare l’allocazione dei rischi tra Concedente e Concessionario”? Ed “evitando qualsiasi variazione dell’equilibrio economico in favore di quest’ultimo”?
Ad una prima e disattenta lettura, si rischia di andare avanti senza rendersi conto delle affermazioni riportate nell’atto pubblico (sì, giova ripeterlo, atto pubblico…) di cui stiamo parlando: in pratica la Regione sembra convinta che l’andare in soccorso di un concessionario in conclamato stato di difficoltà finanziaria (almeno secondo quanto riportato dai giornali), piuttosto che disporre la risoluzione del contratto, non abbia alterato le condizioni di concorrenza in presenza delle quali si è stipulata la convenzione originaria e che, pur mettendo sul piatto TRECENTO MILIONI DI EURO DEI CITTADINI VENETI, i rischi continueranno ad essere allocati lì dove avrebbero dovuto restare, ossia sulle spalle del concessionario.
AppaltiLeaks ritiene di non poter esprimere alcun parere circa la veridicità ideologica di quanto riportato nell’atto pubblico in questione né in merito al probabile ingiusto vantaggio patrimoniale procurato al concessionario e conseguentemente, per questi aspetti, attende che la magistratura contabile (e non solo quella), concludendo le proprie approfondite indagini, ci dica una volta per tutte se quanto è accaduto sia pienamente lecito e regolare.
Resta tuttavia che, in base a quanto la dottrina e la giurisprudenza ci hanno sino ad ora insegnato, la strutturazione della finanza di progetto trae origine dal fatto che i flussi monetari futuri (e quindi solo previsti al momento di partenza dell’operazione) devono essere in grado di assolvere al debito assunto per l’implementazione dell’operazione stessa, di pagare i fattori di produzione e di creare una redditività per gli investitori.
Ogni operazione di project financing – almeno fino al momento in cui Regione Veneto e SIS Scpa si sono chiuse nello studio notarile veneto – si dovrebbe basare su di una valutazione di costi benefici nell’intraprendere quell’attività e sui rischi che ciò che è stato preventivato non accada o accada in modo differente dalle previsioni.
E tutto ciò è vero sia dall’ottica visuale della pubblica amministrazione sia da quella degli imprenditori o dei finanziatori.
L’amministrazione pubblica committente e concedente deve, infatti, allocare i rischi in modo efficiente ed efficace nel perseguimento di soli due distinti fini: a) preservare l’amministrazione in quanto tale, in quanto persona giuridica che opera sul mercato; e b) preservare la collettività che rappresenta, la quale richiede servizi pubblici efficienti a prescindere da chi ne sia il gestore, pubblico o privato.
Gli imprenditori, per parte loro, devono saper allocare su di essi (e per sempre) solo i rischi che sanno di poter gestire – sia dal punto di vista gestionale sia dal quello economico-finanziario – pena il fallimento dell’iniziativa, la risoluzione contrattuale, l’escussione delle garanzie prestate, la perdita di lucro e l’esborso di denaro proprio. I rischi imprenditoriali, in breve, sono dovuti alle modifiche del bacino d’utenza, che può non consentire di attivare il livello di tariffe in grado di generare il flusso di cassa positivo.
I terzi finanziatori devono, infine, saper valutare l’allocazione dei rischi al fine di preservare il rientro delle proprie risorse impiegate a titolo di debito. La mancata individuazione dei rischi relativi al progetto (e quindi la consapevolezza della loro esistenza) unitamente ad una non corretta allocazione sui diversi soggetti coinvolti, può comportare l’insuccesso dell’iniziativa, poiché il soggetto cui il rischio è stato allocato potrebbe non essere in grado di gestirlo al meglio.
Evidentemente tutta la manualistica sull’istituto non aveva previsto la “variante veneta” del project financing …
Ad ogni modo, c’è chi giustamente pretende giustizia immediata.
Il colosso delle costruzioni Salini-Impregilo, a capo della cordata che a lungo contese al Consorzio Sis il project financing per la costruzione della Pedemontana, finendo “sconfitto” davanti al Consiglio di Stato nel 2009, ha già presentato ricorso al Tar contro le delibere approvate dalla giunta Zaia e dal consiglio regionale tra marzo e maggio. Il ricorso, secondo quanto si è appreso dai media, ricalca nei contenuti la lettera di diffida che Salini-Impregilo recapitò in Regione già all’indomani delle indiscrezioni sul nuovo schema di convenzione con Sis: secondo i legali della Spa, le modifiche apportate, con l’aumento del contributo pubblico a 914 milioni e il pagamento di un canone mensile a favore di Sis e a carico dell’ente – che a sua volta provvederà all’incasso dei pedaggi – cambierebbe radicalmente (ma francamente non comprendiamo l’uso del condizionale) il rapporto di concessione in essere e costringerebbe la stazione appaltante ad una nuova messa a gara del project.
Posizione ineccepibile a nostro avviso anche se ci chiediamo: qualora Salini vincesse questo nuovo contenzioso amministrativo come si dipanerebbe la matassa? Come riuscirebbe la SALINI a liberarsi del contraente generale di cui abbiamo detto in precedenza? Siamo sicuri che la SIS Scpa, qualora fosse estromessa nella sua qualità di società di progetto, non rivendicherà il diritto di continuare a restare in cantiere come contraente generale…?
Mah!
Non ci resta che stare ad osservare sperando che non intervenga anche un quarto atto aggiuntivo e che la magistratura – sia pur impegnata nel MOSE, anch’esso in salsa veneta – faccia piena luce sull’intera vicenda.
Ivi inclusa l’intricata questione dei milioni di euro per le spese di progettazione erogati dalla pubblica amministrazione al concessionario ma giunti, soltanto in minima parte, all’originario progettista che comprensibilmente continua a rivendicarli nell’esposto sopra ricordato.

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