giovedì 4 dicembre 2014

«Antagonisti? Ma di che? Antagonisti nostri!»

Le tensioni degli ombrelli e degli elastici delle mutande
«Antagonisti? Ma di che? Antagonisti nostri!». Sbotta così, ancora incavolato per com’é andata oggi a Castelgomberto, il portavoce del comitato Covepa contro la Pedemontana veneta Massimo Follesa. Lui aveva ricevuto la regolare autorizzazione dalla Questura per avvicinarsi al cantiere ed esporre manifesti, ma il gruppo di antagonisti (centro sociale Arcadia di Schio e altri provenienti da Vicenza e dal Veneto), ha voluto “urtare” a tutti i costi il poderoso dispiegamento di polizia – praticamente c’erano più agenti che manifestanti. E così lo svolgimento programmato dal Covepa, che da anni si fa il mazzo con studi, esposti, denunce, articoli, sit-in per dimostrare che esiste un’alternativa sostenibile alla Spv benedetta da destra e sinistra, è stato stravolto per qualche minuto di spintoni che i media allarmistici avranno buon gioco a ingigantire.

Detta papale papale: si gioca a cavalcare la protesta per conquistarsi un quarto d’ora di visibilità. E il peggio è questo: lo fanno in totale buona fede. I cosiddetti “antagonisti” credono davvero sia utile alla causa inscenare il rituale dello scontro (in questo caso, più che altro un incontro) con gli “sbirri”. Vale l’azione in sé, non le sue conseguenze. Che se fossero nulle, potrebbero far derubricare questi gesti come sfoghi autoreferenziali, una specie di mistica dell’azione per l’azione, della violenza per la violenza (che a qualcuno ricorda Sorel: ma almeno lui aveva in mente la rivoluzione, non rintanarsi negli “spazi autogestiti”). No, son di più: sono controproducenti. La violenza politica fine a se stessa rende il gioco facile a chi oscura le ragioni del no parlando solo delle “tensioni” e dei tafferugli (e fortunatamente questa volta non c’è scappato nessun ferito). Sono i contestatori ideali per chi vorrebbe che non ci fosse alcuna contestazione.

E sì che di antagonismo, nel senso letterale della parola, ce ne sarebbe un gran bisogno. Mai nessuna società è stata tanto conformista come quella di oggi, dove l’anticonformismo è diventato un obbligo. Ma per essere “contro” in maniera sensata, la prima regola è non dare alibi all’avversario. Altrimenti, sotto la maschera, si diventa “per”, si fa il suo gioco.

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